Il Tribunale, con il decreto del 23 febbraio 2023, ha dichiarato l’integrale esecuzione di un complesso accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.fall. omologato nel 2016, disponendo la chiusura della procedura.
Il Tribunale, nell’accogliere la domanda formulata dal debitore, ha enucleato una serie di principi giuridici che spaziano dalla possibilità di dare seguito ad una richiesta di “chiusura” della procedura di ristrutturazione conclusa ai sensi dell’art. 182 bis l.fall., pur in mancanza di espressa disposizione normativa, al rilevato interesse della società debitrice.
Preliminarmente è stata risolta la questione inerente alla competenza del Tribunale presso il quale era stato depositato il ricorso.
Nella fase conteziosa apertasi, successivamente al deposito del ricorso del debitore, i creditori coinvolti nell’accordo di ristrutturazione hanno eccepito una serie di eccezioni, tra cui quella di incompetenza, in ragione del fatto che l’accordo ex art. 182 bis l.fall. prevedeva una clausola che radicava la competenza altrove, ma solo per controversie relative ai profili di validità, efficacia, interpretazione o esecuzione dell’accordo.
L’Organo giudicante ha respinto l’eccezione, argomentando che il provvedimento di chiusura della procedura, per sua natura “atto meramente attuativo delle funzioni di sorveglianza e controllo assegnate agli organi fallimentare”, non può che essere emesso dal Tribunale che ha dichiarato aperto il procedimento di ristrutturazione perché unica corte a conoscere con precisione le circostanze prodromiche allo stesso.
Altra questione preliminare affrontata, essendo stata eccepita l’inammissibilità della relativa domanda, è la sussistenza dell’interesse ad agire della società debitrice ex art. 100 c.p.c.
Nel caso di specie, secondo il Tribunale “appare, pertanto, di lapalissiana evidenza l’interesse della società istante ad ottenere una pronuncia che, previa verifica formale dell’esaurimento della fase esecutiva dell’accordo, dichiari la chiusura della procedura, facendo cadere lo “stigma” sociale derivante dalla perdurante annotazione camerale di una procedura che ha come presupposto ineludibile l’emersione di una situazione di crisi”.
Venendo al merito della questione, il Giudicante, dopo aver precisato che né nella legge fallimentare né nel Codice della Crisi d’Impresa è dato rinvenire una norma che disciplini l’emanazione del provvedimento di chiusura di un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis l.fall. (disciplinato ora nell’art. 57 C.C.I.I.), diversamente da quanto previsto per il concordato preventivo, ha evidenziato che tale possibilità discenderebbe dalla interscambiabilità dello strumento di cui all’art. 182 bis l.fall. rispetto al concordato preventivo.
Infatti, come il concordato preventivo, l’accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis l.fall. ha anch’esso natura concorsuale e non privatistica (cfr. Cass. Civ., sez. I, 12 aprile 2018, n. 9087 e Cass. Civ., sez. I, 18 gennaio 2018, n. 1182), dato che ammette forme di controllo e di pubblicità sulla composizione negoziata tra debitore e creditori.
Pertanto, dato che il concordato preventivo trova la sua conclusione nel momento in cui il Tribunale emana il provvedimento di chiusura della procedura – momento dal quale può affermarsi che l’impresa è stata totalmente risanata e quindi considerata affidabile finanziariamente – così, in ragione della suddetta interscambiabilità tra i due strumenti risanatori, deve considerarsi possibile l’emanazione del medesimo provvedimento di chiusura nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis l.fall.
Ulteriore argomento adoperato dal Giudicante, per motivare la propria decisione nel merito, si rinviene nel richiamo delle recenti considerazioni formulate sul punto dal Tribunale di Mantova che ha affermato che “anche con riguardo all’accordo di ristrutturazione e una volta che lo stesso abbia avuto esecuzione, debba emettersi un decreto di chiusura della procedura; considerato altresì che, pur operando il principio di tipicità degli atti soggetti a iscrizione (desunto dagli artt. 2188 e 2193 c.c. e 7 co. 2 lett. b del d.p.r. 581/1995) il decreto in questione debba essere iscritto al registro delle imprese in virtù del principio c.d. di completezza per effetto del quale qualunque atto o fatto che incida su situazioni iscritte, pur in assenza di una specifica previsione di legge (come nel caso di specie), debbano parimenti essere iscritte, rilevandosi in proposito che sia l’accordo di ristrutturazione che il decreto di omologazione debbono essere pubblicati nel registro delle imprese come sancito dall’art. 182 bis l.f.”.
In conclusione, fermo quanto sopra, la possibilità di emanare il provvedimento di chiusura trova la sua ragion d’essere nell’iscrizione presso il Registro delle Imprese del provvedimento di apertura di un procedimento di ristrutturazione. Se così è, deve essere consentita pure l’iscrizione, in virtù del principio di completezza degli atti iscrivibili nel Registro delle Imprese, anche del provvedimento di chiusura, atto uguale e opposto rispetto al decreto di omologa della procedura.
Ne discende che non può costituire argomento contrario il c.d. principio di tassatività degli atti degli atti soggetti a iscrizione dato che lo stesso deve comunque essere integrato, anche in mancanza di espressa previsione legislativa, come nel caso di specie, dal principio di completezza insito nella ratio del sistema di pubblicità commerciale di cui al Registro delle Imprese.
La pronuncia non è soltanto condivisibile, ma anche assolutamente dovuta.
Avv. Mario Minucci