“ESG”, l’acronimo legato alla sostenibilità che negli ultimi anni ha assunto sempre maggiore importanza, sta per «Environmental, Social e Governance» e si riferisce ad un innovativo criterio mediante il quale valutare l’impegno riposto da imprese ed organizzazioni in termini di sostenibilità.
Ma da quali norme è disciplinato il cosiddetto “fenomeno ESG” e perché è, attualmente, così rilevante?
In Italia il tema è stato introdotto in virtù di numerosi interventi realizzati dal legislatore, come il Codice dell’Ambiente ed il Testo Unico sulla Sicurezza, e ancora, il D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, il quale, istituendo il Codice Etico, il Modello Organizzativo e l’Organismo di Vigilanza, ha contribuito a sensibilizzare maggiormente le attività aziendali nell’ambito della commissione dei reati presupposto.
Ruolo rilevante è, altresì, ricoperto dal Codice di Corporate Governance delle Società Quotate, il quale attribuisce all’organo di amministrazione la responsabilità di inserire all’interno del proprio piano industriale, del proprio sistema di controllo e delle proprie politiche di remunerazione, necessari obiettivi di sostenibilità.
Parallelamente alla produzione normativa nazionale, vi è certamente quella realizzata dalle Istituzioni Europee, le quali, mediante un piano di “finanza sostenibile”, hanno guidato, a partire dal 2018, l’adozione di Regolamenti e Direttive in materia ESG, fornendo così una spinta più incisiva sul tema.
Il quadro normativo, infatti, si è notevolmente rafforzato in seguito all’approvazione della Direttiva “Corporate Sustainability Reporting Directive” e si presume si rafforzerà ulteriormente una volta approvata anche la Direttiva “Corporate Sustainability Due Diligence”.
La prima (Direttiva 2464/2022), nota come “Direttiva sulla rendicontazione societaria della sostenibilità”, estende gli obblighi di rendicontazione di sostenibilità (la Direttiva n. 95 del 2014, infatti, indicava quali soggetti obbligati solo gli Enti di Interesse Pubblico, quali le società quotate sui mercati regolamentati, gli enti creditizi o le compagnie assicurative, che fossero parte di un “gruppo di grandi dimensioni”) a tutte le grandi imprese e a tutte le società quotate su mercati UE che non siano qualificate come “microimprese”, sulla base di determinati parametri economici.
Si stima un passaggio dalle attuali 12 mila interessate alle circa 50 mila potenzialmente interessate, le quali saranno chiamate a redigere una dichiarazione sulla sostenibilità relativa al proprio impatto sociale ed ambientale, rendendosi più responsabili nei confronti del “pubblico”.
Nel concreto, le principali tematiche oggetto di tale rendicontazione includeranno una descrizione, ad esempio, “degli obiettivi di sostenibilità della società, del ruolo, delle conoscenze e delle capacità del consiglio di amministrazione, del management e degli organi di controllo in merito ai fattori ESG e dell’eventuale esistenza di incentivi legati alle questioni di sostenibilità offerti a questi soggetti e dei processi di due diligence su rischi relativi a fattori ESG posti in essere dall’impresa”.
La Direttiva, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 16 dicembre 2022, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro 18 mesi, e le relative disposizioni e previsioni inizieranno ad essere applicate tra il 2014 ed il 2028.
L’obiettivo della seconda Direttiva, invece, è quello di creare un sistema di indagine preventiva da parte delle società che rientreranno nel suo campo di applicazione – anche in questo caso quelle di maggiori dimensioni – volta a monitorare, prevenire e mitigare gli impatti negativi derivanti dalla propria attività sull’ambiente, sulle condizioni di lavoro e sui diritti e libertà individuali.
Le imprese destinatarie della normativa, pertanto, avranno l’obbligo di svolgere una due diligence annuale sui potenziali ed effettivi rischi esistenti a livello di diritti umani ed ambientale “riguardo alle proprie operazioni, le operazioni delle proprie controllate, e le operazioni all’interno della propria catena del valore svolte da soggetti con cui l’azienda ha una relazione commerciale stabile”.
La Direttiva richiederà, dunque, “l’integrazione dell’attività due diligence di sostenibilità nelle policy aziendali, l’identificazione degli impatti avversi, effettivi o potenziali, a livello ambientale e di diritti umani derivanti dalla propria attività, l’adozione di misure atte a prevenire e mitigare gli impatti avversi potenziali e, infine, la comunicazione al pubblico dell’esito di tale due diligence e delle misure adottate, e la definizione di una procedura per la gestione dei reclami”.
È evidente che il fine perseguito dalle Istituzioni Europee sia quello di portare, in misura sempre maggiore, le società quotate e di rilevanti dimensioni ad adottare strategie imprenditoriali nel rispetto della sostenibilità sociale ed ambientale e a creare appositi comitati di sostenibilità, ovvero dipartimenti idonei a considerare le tematiche ESG nei processi aziendali e decisionali.
Ne discende certamente un quadro dove i Consigli di Amministrazione andranno ad “arricchirsi” con la presenza di Consiglieri dotati di specifiche competenze in tema di ESG, i quali, come appurato da un recente studio “The Board of the Future”, condotto da una nota società di consulenza, “saranno sempre più ricercati in futuro, e la sostenibilità assumerà, in molti casi, un carattere prioritario nei piani di formazione del management”.
Per questo motivo nasce la figura dell’“avvocato del futuro”, al quale si chiederà di essere un abile esperto e conoscitore del tema ESG, in grado, con il suo supporto e le sue competenze,  di fornire consulenza in materia ambientale, terzo settore, mondo del no-profit, diritti umani, di garantire assistenza in ambito di rendicontazione non finanziaria, ovvero nella creazione di società benefit e, ancora, nell’adeguamento degli statuti societari o dei contratti, quali ad esempio quelli di fornitura, ai principi ESG.

Dott.ssa Alessandra Mazzocchi